Olga Sgobio

Intervista ad Angela Trapani

 

Milano 2011

 

Angela Trapani è nata a Marsala, nel 1988 sceglie di trasferirsi a Milano dove vive e lavora.

 

Olga Sgobio: Come nasce il tuo lavoro?
Angela Trapani: Nasce molti anni fa con le cupole, da allora è stata una continua ricerca verso l’essenza. Quello che faccio, e che ho sempre fatto, non è legato ad una problematica e, volutamente, penso di essere fuori dal tempo. Oggi sono circondata da chi usa le problematiche dell’attualità, mentre il mio è un richiamo ai luoghi, e alle emozioni, in cui ho vissuto, dalla Sicilia al nord Africa, in particolare la Tunisia e Istanbul. Inizialmente la mia visione era meno particolarizzata e i soggetti dei miei lavori erano, oltre le cupole, anche le porte, i minareti, gli stucchi simulati con il macramé e, infine, le Ganarìe che sono state l’enfasi della decorazione se pur nelle loro regolarità geometriche.

O.S.: Qual è stato il passaggio dalla pittura alle volumetrie?
A.T.: Volevo andare oltre la raffigurazione delle cupole, volevo affrontare qualcosa di più concreto come la tridimensionalità. Nel 2000 ho realizzato un’installazione nella prima moschea costruita in Italia, è stato come ritornare in quei luoghi che mi hanno tanto affascinata. L’installazione consisteva in una cupola di 6×3 m che nasceva da una spirale. E’ interessante sapere che le prime cupole le troviamo nell’arte cretese micenea come tombe regie sotterranee, infatti questa forma, come anche quella della spirale, rappresenta il rifugio per l’eternità. Io ho voluto fare una grande struttura e trasparente, probabilmente anche per viverla tra cielo e terra. C’era un ingresso da cui si poteva entrare e, all’interno, altre piccole cupole come simbolo delle cinque preghiere dell’Islam che avvengono all’alba, al mattino, al pomeriggio, al tramonto, e alla notte; ritengo che queste cinque fasi siano anche le fasi della vita. La sera dell’inaugurazione la performance si è svolta al buio con la visione della sola cupola illuminata, di sottofondo si udiva la voce del Muezzin che chiamava alla preghiera e, appena dopo, è partito il ritmo incalzante delle percussioni, unico strumento ammesso all’interno di quel luogo sacro.
Nel 2006 ancora un lavoro che mi piace ricordare: una semisfera di sale in riferimento alle secolari e magiche saline di Marsala.

 

O.S.: Quando hai deciso di far diventare la cupola un oggetto trasparente fotografato in diversi luoghi?
A.T.: In un lungo periodo trascorso in Sicilia (si nota soprattutto dalla luce), mi spostavo con una semisfera trasparente, scattando sulla piccola volta, oltre me stessa, si rifletteva l’ambiente circostante e, allo stesso tempo, traspariva ciò che c’era sotto. Una combinazione di immagini ad effetto fish-eye senza elaborazioni, in cui cercavo di cogliere un interno/esterno come in una campana di vetro…ecco che ritorna il rifugio. In un certo senso sono anche degli autoritratti in cui la mia figura c’è ma non è riconoscibile perché si deforma.

 

O.S.: Nella tua pittura inizialmente erano presenti luci e ombre, adesso invece sono state annullate, cosa sono diventate?
A.T.: Atmosfere! Atmosfere che ho recepito guardando le cupole rosse di Palermo, uniche al mondo, che hanno delle proprietà di mutamento durante la giornata inimmaginabili. Il rosso nella cultura islamica e nell’architettura arabo-normanna non c’era fino a un secolo e mezzo fa. Queste cupole contenevano nella composizione dell’intonaco anche del coccio-pesto e, appena completate, si presentavano di color rosa chiaro, ma con le piogge e con il passare del tempo sono diventate grigie. Solo dopo un’operazione di restauro, avvenuta nella metà del 1800, le cupole ridipinte sono diventate rosso acceso. Questo mio recente lavoro è legato ad una forma che amo e ad un colore nuovo, ma soprattutto per me è atmosfera. L’atmosfera è perdersi a Palermo con le luci dell’alba, o del pomeriggio che trasformano il rosso in arancio, o ancora le luci della notte che trasformano i rossi in viola.